Terra
interpretazioni religiose
“Terra!” è stato il grido lanciato nel 1492 da un marinaio di Colombo in vista del“nuovo mondo”.
Quel grido ci invita oggi a scoprire un “vecchio mondo”, il nostro meraviglioso pianeta, così “ovvio” da essere spesso dimenticato se non addirittura considerato come cosa di nessun interesse e, quindi, da sfruttare senza remore o regole.
Questa magnifica nostra Terra – diciamolo subito - non è solo un ambito materiale ma va vista come luogo del sacro, la Grande Madre che molte tradizioni, a cominciare dalle più remote, riecheggia. Con i suoi tre regni, minerale, vegetale e animale, è considerata da molte tradizioni il più sacro e divino tra gli elementi.
È materna e nutriente, concreta, solida e potente. È la sostanza universale che genera tutte le forme viventi, racchiude in sé le caratteristiche di grembo accogliente che riceve la vita e la alimenta. E da sempre l’uomo la venera in quanto in essa si manifesta l’Assoluto, prende forma il Divino.
Infinite le valenze religiose che i popoli le hanno attribuito, innumerevoli i riti a lei dedicati, eterni i sogni di conquista che gli uomini hanno riversato su di lei, in quanto terra da dominare, da possedere, da sfruttare… e ora, resa un po’ più fragile dall’uomo, occorre anche rispettare ed amare.
Da sempre, artisti di varie discipline, appartenenti alle culture più diverse hanno interpretato, ciascuno con la propria sensibilità, questi temi. I loro lavori sono sparsi nei musei e nelle gallerie di tutto il mondo.
E le diversità che la distinguono, sono lo specchio dei popoli.
Come quelle africane che raccontano di una terra che si mangia: lo fa colui che pratica i sacrifici ma anche la donna incinta: dalla terra ingoiata nasce il fuoco, il calore della vita e “il ventre s’illumina”.
A quelle vediche che raccontano di una terra sacra che accoglie, come una madre, l’uomo alla fine del suo percorso.
In molte culture è una terra contrapposta ed unita al cielo, come gli elementi femminili e maschili, che simboleggia la funzione materna: essa dà e si riprende la vita. Simbolo di fecondità e di rigenerazione, “partorisce” tutti gli esseri, li nutre e poi li riceve nuovamente dopo la morte, cosicché il germe fecondo si rinnovi.
Secondo la teogonia di Esiodo, Gaia, la Terra, partorisce anche il Cielo (Urano), che successivamente la avvolge per generare tutti gli dei.
Per certe etnie in Africa e in Asia la donna sterile rischia di rendere sterile anche la terra dove vive, spesso l’unica forma di sostentamento dell’intera famiglia, e per questo motivo il marito ha la facoltà di ripudiarla.
E se è una donna incinta a seminare, il raccolto sarà più cospicuo, in quanto frutto del lavoro di una “sorgente” di fecondità.
Le vostre donne, dice il Corano, sono per voi come i campi.
È in un solco seminato che Giasone si unisce a Demetra.
Nella Bibbia Dio “plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Dal punto di vista antropologico la terra “fa” l’uomo. Egli, cioè, è fatto di terra. Nella creazione di Dio la terra non è esterna all’uomo, non è solo il luogo dove egli è collocato, ma ne costituisce l’essere. Offendere la Terra è un po’ come offendere l’uomo.
Temi profondi, affascinanti attuali quelli proposti alla nostra riflessione. Temi che i più giovani sono invitati ad approfondire.
LA TERRA NELLA STORIA DELLE RELIGIONI
Di tutta la natura, nei suoi tre regni minerale, vegetale ed animale, la Terra è considerata da molte tradizioni il più sacro e divino tra gli elementi. Fertile e creativa, nutriente e rigogliosa, essa racchiude in sé sia le caratteristiche più poetiche di grembo accogliente e materno che riceve la vita e la nutre, sia quelle più “pratiche” della costanza, la pazienza, la forza. La Terra è al tempo stesso materna e nutriente, ma anche pratica, concreta, solida e potente.
È giunto fino a noi un numero rilevante di credenze, miti e rituali attinenti alla terra, alle sue divinità, alla “Grande Madre”. Formando in un certo senso il fondamento stesso del Cosmo, la terra è dotata di multivalenze religiose. Fu adorata perché “era”, perché si mostrava, perché rendeva, fruttificava e riceveva. La terra è da sempre considerata viva e attiva, popolata di forza e satura di sacro. In questa prospettiva, essa è il Cosmo che contiene forze sacre diffuse.
La terra si contrappone simbolicamente al cielo, come l’aspetto femminile a quello maschile della creazione. Tutti gli esseri ricevono da lei la vita, perché la Terra è donna e madre, ma essa è completamente sottomessa al principio attivo del cielo.
La Terra è la sostanza universale, il caos primordiale.
Essa simboleggia la funzione materna: dà e si riprende la vita, dopo la morte. Nella religione vedica, simboleggia anche la madre, sorgente di vita, protettrice contro tutte le forze di distruzione. Secondo i riti vedici della sepoltura, nel momento in cui l’urna funeraria contenente le ceneri del defunto viene sepolta in terra, vengono recitate delle strofe poetiche:
Va’ sotto questa Terra, tua madre, […] ricevilo, Terra, accoglilo!
Còprilo col tuo manto, come una madre protegge suo figlio.
(Rig Véda, Grhyasutra 4,1)
Alcune tribù africane usano mangiare la terra come simbolo d’identificazione. Ne mangia colui che pratica i sacrifici, e anche la donna incinta; dalla terra ingoiata nasce il fuoco, il calore della vita; usano dire allora che “il ventre s’illumina”.
Esistono degli interramenti simbolici, analoghi all’immersione battesimale, sia per guarire sia per fortificare, sia per soddisfare alcuni riti di iniziazione. L’idea di fondo è sempre la stessa: rigenerare attraverso il contatto diretto con le forze della terra.
In rapporto alla Acque che pre-esistono anch’esse rispetto alla nascita di tutte le cose, la Terra si distingue in quanto le Acque rappresentano la massa di ciò che non è differenziato, mentre la Terra ha i germi delle differenziazioni.
Con la comparsa dell’agricoltura, la struttura cosmica della ierofania (= manifestazione del sacro) della terra è sostituita dalla struttura propriamente tellurica.
Una delle prime teofanie (= manifestazioni divine) della terra in quanto tale, fu la sua “maternità”: la Terra è Madre, genera le forme viventi traendole dalla propria sostanza. La Terra è viva anzitutto perché è fertile. Tutto quel che esce da essa è dotato di vita e quel che a essa torna è nuovamente fornito di vita (cf il binomio homo-humus). Se le acque precedono ogni creazione e forma, la terra produce forme viventi. Destino della terra è quello di stare al principio e al termine di qualsiasi forma biologica, o appartenente alla storia locale.
La Grande Madre è una divinità femminile primordiale, presente in quasi tutte le mitologie note, in cui si manifestano la terra, la generatività, il femminile come mediatore tra l'umano e il divino.
Il culto della Grande Madre risale al Neolitico e forse addirittura al Paleolitico.
Secondo le culture di stampo matriarcale, essa è il principio femminile per eccellenza, la Grande Madre aperta all’intervento fecondo del cielo. Nelle sue viscere infatti, essa accoglie e trasforma il seme del dio, seme al quale la Madre dà potenza. Essa stessa è quindi dotata di potenza magica. Materia contrapposta allo spirito, ma contemporaneamente indispensabile all’equilibrio dell’universo stesso.
Nelle società agricole, inoltre, torna il legame tra la donna e la terra, il solco arato e il lavoro agricolo, la donna e l’atto generatore.
La Terra e la donna-madre sono spesso assimilate: i solchi seminati spesso sono simboli della penetrazione sessuale. La terra è quindi simbolo di fecondità e di rigenerazione. Essa “partorisce” tutti gli esseri, li nutre e poi li riceve nuovamente dopo la morte, cosicché il germe fecondo si rinnovi.
Secondo la teogonia di Esiodo (v. 126 e ss.), Gaia, la Terra, partorisce anche il Cielo (Urano), che successivamente la avvolge per generare tutti gli dei.
In Africa e in Asia, secondo alcune credenze, la donna sterile rischia di rendere sterile anche la terra dove vive, spesso l’unica forma di sostentamento dell’intera famiglia, e per questo motivo il marito ha la facoltà di ripudiarla. Quindi, alla luce di tali credenze, se è una donna incinta a seminare, il raccolto sarà più cospicuo, in quanto frutto del lavoro di una “sorgente” di fecondità.
Le vostre donne, dice il Corano, sono per voi come i campi (11, 223). È in un solco seminato che Giasone si unisce a Demetra (Odissea, V, 125).
Poiché il ciclo naturale delle messi implica la morte del seme, perché esso possa risorgere nella nuova stagione, la grande dea è connessa anche a culti legati al ciclo morte - rinascita e alla Luna, che da sempre lo rappresenta.
Ad esempio, nelle feste e nei misteri in onore del gruppo Demetra / Cerere - Persefone / Proserpina, il suo culto segna il volgere delle stagioni, ma anche la domanda dell'uomo di rinascere come il seme rinasce dalla terra.
La cultura sciamanica ha sempre tenuto in grande considerazione la Madre Terra, nutrendo per essa un profondo amore e rispetto e beneficiando dei suoi frutti e dei suoi spiriti.
Come in ogni cultura antica di stampo naturale, l’uomo è sempre stato ritenuto un elemento facente parte di questo universo, uno dei figli della terra stessa, una particella inserita in un contesto più ampio. L’uomo vedico troverebbe incompatibile qualunque tentativo di dominare o soggiogare la terra. La terra è un oggetto di culto e non di sfruttamento, un qualcosa a cui rivolgere timore reverenziale. Il culto rivolto alla terra è la venerazione del valore più alto nella gerarchia dell’esistenza.
Nuocere alla terra significa nuocere all’uomo stesso, perché egli viene dalla terra ed è parte di essa. Con l’avvento delle culture antropocentriche, la Natura è stata depredata e ferita nella sua sacralità: l’uomo è diventato il dominatore di tutte le cose, e animali, boschi, alberi, acque e la terra stessa, ne hanno fatto le gravi conseguenze, con effetti che inevitabilmente si riflettono sull’uomo stesso. L’uomo invece dovrebbe semplicemente fruire delle benedizioni della terra, perché essa è la sua casa, la sua famiglia, il suo corpo.
LA TERRA CASA DI DIO
Nel luogo in cui gli dèi appaiono l’uomo edifica santuari, per fissare il tempo e il luogo della rivelazione, nella speranza che si ripetano esperienze analoghe per il futuro. L’antichità conosce l’idea secondo la quale gli dèi hanno la loro abitazione in determinati luoghi, così come nel periodo pre-monoteistico della storia delle religioni non solo ciascun popolo poteva avere il proprio Dio, ma determinate divinità erano legate ai territori di alcuni popoli. “Terra santa”, “luogo santo” significa, anche in senso ebraico, la terra che appartiene al Signore e che all’uomo non è lecito possedere per sé o profanare.
La dicitura Terra Santa si applica, per gli Ebrei e i Cristiani, alla Palestina, ma è evidente che esistono in altre tradizioni simili aree geografiche, che rappresentano luoghi santi e che hanno nomi come Terra dei Santi, Terra dei felici, Terra d’immortalità, ecc. Si tratta di centri di spiritualità che rappresentano il centro del mondo per ogni tradizione, riflesso esso stesso del centro primordiale o del Paradiso terrestre.
Ecco allora che si è diffusa l’idea in molte tradizioni culturali e religiose che chi voglia rigenerarsi spiritualmente, debba praticare una sorta di ritorno alla Terra sacra a cui fa riferimento il suo popolo. Non a caso, ad esempio, alcune tribù del Sudamerica, dell’Africa e dell’Asia, ogni volta che sentono il bisogno di rinnovare l’energia del gruppo, si spostano verso il luogo che per tradizione rappresenta la culla dei loro avi. Così pure si ricordi i pellegrinaggi al monte Sinai, a Gerusalemme, alla Mecca, al Gange, ecc.
LA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA EBRAICA E BIBLICO-CRISTIANA
Terra, creatura di Dio
In Genesi 1-2 la terra è “creatura” di Dio.
Essa non entra in competizione come divinità-madre con il Dio della creazione e della storia, poiché è creatura. Essa è da Lui creata in quanto la distingue da un caos originario. Dio quando crea imprime alla Natura una configurazione altrettanto costitutiva di cultura. Non c’è una “natura pura” precedente. Dio stesso è all’inizio della storia e della cultura; la terra è già natura e cultura insieme, quando è creata, essa entra nella storia ed è “viva”. E’ dentro un divenire con cui l’uomo interagisce in quanto la terra può essere “lavorata”. Lo chiamiamo, a volte, “progetto o piano salvifico di Dio”; a volte, “sogno di Dio” o “profezia di Dio” o “disegno di Dio”. Una interpretazione semplicemente ciclica della realtà qui è superata da una visione storico-salvifica.
Inoltre Dio, secondo la Genesi, “plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Dal punto di vista antropologico la terra “fa” l’uomo. Egli, cioè, è fatto di terra. Nella creazione di Dio la terra non è esterna all’uomo, non è solo il luogo dove egli è collocato, ma ne costituisce l’essere.
A questo concetto va legato quello di “terra promessa” che non può essere pensata solo come un luogo sicuro da raggiungere. Essa indica una dimensione di compimento che è inscritta in tutta la creazione. Nella visione cristiana, la “vera” terra promessa è Cristo Gesù! Si svela qui pienamente ciò che è annunciato nei racconti di creazione, quando la terra è raccolta da Dio e con essa Egli dà forma all’uomo.
Si svela qui il connotato “cristico” di tutta la creazione, dunque anche della terra. Gli inni cristologici contenuti nelle lettere di san Paolo apostolo esplicitano tale dimensione:
“Egli (= Cristo) è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in Lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra…tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui” (Colossesi 1,15-16).
La categoria e l’immagine di “cieli nuovi e terra nuova”, di cui si parla nel grande finale dell’Apocalisse, prospettano questo significato profondo e originale della creatura che per prima è uscita dalle mani creatrici di Dio: la terra (cfr. Genesi 1-2). Ma siamo già nell’orizzonte compiuto di Cristo che come “uomo nuovo” o “secondo Adamo” è già “cieli nuovi e terra nuova”!
Terra, casa di Dio
Abramo e Giacobbe edificano nei luoghi in cui Dio è apparso (Gn 12,8; 28,10-22).
Ma accanto alla santificazione della terra e di determinati luoghi, la stessa Bibbia offre anche spunti di tendenza contraria: la terra promessa è data a condizione che il popolo adempia i doveri legati al patto (Lv 26); il Dio che ha condotto il suo popolo dall’Egitto cammina assieme al popolo e non è legato ad alcun luogo (Es 25-27); lo stesso tempio potrebbe non contenere la presenza di Dio (1 Re 8,27; Is 66,1-2). L’esilio babilonese insegna che «Grande è il Signore, ben oltre i confini di Israele» (Mal 1,5) e che il Dio del popolo può essere adorato ovunque, nonostante la nostalgia della terra (Sal 137).
Il giudaismo rabbinico fece proprie entrambe le tendenze della Bibbia ebraica: la concezione della santità del luogo e la fede nell’onnipresenza di Dio. Da un lato prende corpo, quindi, una legislazione che si riferisce alla santità rituale del tempio e della terra; dall’altro si dà importanza al fatto che il Dio d’Israele non può essere rappresentato come un Dio locale. Si prescrisse che la preghiera quotidiana fosse recitata nella direzione del tempio di Gerusalemme (cf Dan 6,11), ma si insegnò anche che, per chi non la conoscesse, era sufficiente rivolgere il cuore a Dio, così come si ricordava che Dio aveva rivelato la Toràh nel deserto perché nessuno potesse rivendicarne il monopolio. In questo, il giudaismo rabbinico preparò la strada a quella forma di contestazione dello spazio che si ebbe con il cristianesimo, dove Gesù richiamò al culto in spirito e verità (cf Gv 4,24), nonostante la tendenza, sempre ricorrente, di fissare in un luogo preciso il culto a Dio.
LA TERRA E L’ISLAM
Il Corano fa costante riferimento al mondo della natura e all’ordine che regna nell’universo: il mondo e la sua storia sono un grande libro in cui l’uomo dotato “di sano intelletto” è invitato a leggere i segni divini. Il cosmo intero è in qualche modo partecipe della rivelazione divina, perché nei fenomeni naturali è possibile intravedere una realtà che va decisamente al di là di ciò che normalmente si percepisce in modo immediato, ossia una manifestazione diretta del divino. Il Corano costituisce però l’unica chiave di lettura adatta a percepire la realtà e a svelarne il significato reale. Cosa insegna il Corano? Che l’uomo e la creazione sono “segni” eloquenti e sufficienti della signoria di Allâh nella storia e nel mondo.
«In verità, nei cieli e in terra ci sono segni per i credenti; e nella vostra creazione e negli animali che Dio sparge sulla terra ci sono segni per chi è saldo nella fede. E ce ne sono pure nell’alternarsi della notte e del giorno e nella pioggia che nella sua provvidenza Dio manda dal cielo per far vivere la terra già morta; e anche nel mutevole spirare del vento ci sono segni per chi ragiona». (Corano 45, 1-5)
È la teoria dei “segni di Dio”, degli âyât Allâh, comprendente la cosmicità, l’uomo e anche il Corano nella sua inimitabilità. La creazione, opera di Allâh, viene presentata come “luogo” del suo potere e della sua signoria, che il credente riconosce nel’identificare i segni. E l’uomo, pur grande nella creazione a lui affidata, si trova a sviluppare una vocazione più contemplativa che “gestionale” nei confronti della creazione. La “lettura” coranica e il riconoscimento dei segni della creazione permettono all’uomo di orientare il proprio cammino.