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CiviltÀ contadina

St. Osvaldo – Alto Adige

Tscchoetscherhof

Profumo di un recente passato

di Dante Fasciolo


Si inerpica moderatamente la strada che porta a St. Osvaldo, aprendo ad ogni curva variegati scenari luminosi…ma sarà bene che chi guida non perda d’occhio i ristretti margini della carreggiata, si, perché questa strada di montagna, fortunatamente non molto frequentata, chi la conosce non la svela agli altri.

Per chi è in villeggiatura in Alto Adige tra la Val Gardena e lo Schiliar .. e ha deciso di andare a mangiare in un posto panoramico e tranquillo, ecco, questo è il luogo che fa la differenza.

Se salite da Bolzano nord, o se venite da Ortisei via Castelrotto, occhio alla rotonda di Siusi: occorre inoltrarsi nel paese e superarlo…sempre dritti, non c’è da sbagliare.

   

A colpo d’occhio sono 15 le case di St. Osvaldo e qualche altra sparsa nei paraggi. E prima di una nuova curva verso la Chiesa, laddove svetta un pioppo-sentinella alto 35 metri e che ben porta i suoi 100 anni, ecco lo slargo del ristorante Tschoetscherhof…no, non provate a pronunciarlo, sbagliereste comunque sempre e fareste sorridere i proprietari del maso. Chiamatelo per semplificare Ristorante St. Osvaldo e accertatevi subito di prendere posto, sia fuori che dentro, per non rischiare di rimanere in piedi; le specialità montanare meritano di essere assaggiate senza indugi.

   

Già, qui in montagna si viene per respirare, rilassarsi, dimenticare i pensieri e per gustare qualche buon manicaretto…di quelli che le donne preparano su ricetta delle madri e delle nonne più versatili capaci di viziare i loro mariti al ritorno dai campi di fieno, dai pascoli, dalla raccolta dei frutti abbondanti delle vallate d’intorno. Un ritmo lento che si è trascinato per secoli, immutabile, e che solo da qualche decennio si misura con nuove realtà turistiche e di relazione con gente di lontano.

   

Ricordi, pensieri, passioni, fatica e poesia, però, non sono dimenticati; e proprio qui a St.Osvaldo a fianco del maso con quel nome così strano, ecco schiudere la porta un museo contadino, ahimè! Con lo stesso nome…ma non occorre pronunciarlo, altrimenti bisognerebbe pronunciare anche il nome usato quassù per gli attrezzi e gli ambienti che il museo custodisce per memoria.

   

E questa visita al museo contadino emana il profumo incorrotto del passato, anche recente, di tanti ricordi, affastellati pensieri, sane passioni…e quel sudore dei muscoli al lavoro e la poesia della campana dell’alto campanile a vista, che richiama il mezzogiorno del meritato desco.

   

Ci sono gli attrezzi che lavorarono i campi, ormai in disuso, perché i motori e la tecnologia li hanno sostituiti insieme ai buoi, l’asino, il mulo ed il cavallo; ci sono le masserizie e legni intagliati con cipiglio artistico, e gli ambienti del riposo: una linda camera da letto, la culla-dondolo del bambino, pochi oggetti di pratica utilità, un messale, una croce, una collezione di santini e …fotografie per non dimenticare che dietro abiti semplici, pose composte e sommessi sorrisi ci sono storie di uomini e donne che hanno amato questo modo di vivere, questo lavoro, questa terra: eredità morale che interroga nel profondo.

   

   


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)