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Racconto

L’Undicesimo Cacciatori

Un episodio della battaglia del Volturno

Ottobre 1860

di Ruggero Scarponi

I cacciatori dell’Undicesimo uscirono allo scoperto, squarciando la spessa coltre di nebbia e di fumo.

L’Alfiere Mariadangelo arrestò il cavallo e con il braccio alzato fece cenno al drappello di fermarsi. Si sollevò diritto sulle staffe e portando il palmo della mano sinistra alla visiera del cappello, per schermare i raggi del sole, perlustrò con un rapido sguardo il tratto di campagna che gli si apriva davanti. Un mezzo sorriso gli si disegnò sulla faccia. I garibaldesi battevano in ritirata. Sotto l’ottimo comando del Generale Polizzy, le truppe regie stavano finalmente vendicando le umiliazioni subite in Sicilia e in Continente. Re Francesco non era ancora finito, fintanto che il suo esercito avesse avuto occasione di mostrare il proprio valore, libero da complotti e da intrighi.

- Viva ‘O Re! Signor Tenente - gridarono in coro i suoi.

- E viva ‘O Re! – Rispose con entusiasmo, anche se contenuto, l’Alfiere, per via del grado.

- L’abbiamo fatta veder noi, a quei fetentoni del Signor Garibbaldo, eh, Signor Tenenete? Gli abbiamo fatto vedere di che pasta è fatto l’esercito di Sua Maestà!– Esclamò ironico uno.

- Buono, buono, non è ancora finita, ragazzo – rispose con bonomia l’ufficiale, mentre si assestava di nuovo in sella, pronto a riprendere la marcia. Mariadangelo istintivamente scrutò il cielo, giù, dalla parte di San Tammaro e oltre, verso il mare, poi di fronte, in direzione di Santa Maria, rapido come un falco. Si arrestò un istante, quasi incerto se dirigere lo sguardo anche verso Caserta. Un fremito lo percorse. Sentiva in bocca il gusto salato del salnitro e quello ben più dolce della vittoria. Poche spanne di territorio lo dividevano dal cuore dello schieramento garibaldese, dove precipitosamente stavano cercando riparo le poche camicie rosse sbandate sotto i colpi delle brigate cacciatori.

- Calma Marià – mormorò tra se – fermati qui – E poi – prudenza! Non facciamoci prendere troppo dall’euforia. Troppe volte – pensò – abbiamo sottovalutato questi “briganti” e poi in pochi mesi ce li siamo trovati a Napoli.

- Signor Tenente ! – gli urlarono i suoi – Mo’ puntiamo su Caserta, no? Andiamo a dare il colpo di grazia a Garibbaldo!

La tentazione era forte. Piombare sugli sbandati e farne scempio e proprio sotto Caserta, il quartier generale dell’odiato Peppiniello.

- No, statevi accorti.- replicò Mariadangelo saggiamente - Restiamo qui. Abbiamo gli ordini di Sua Eccellenza il Generale Tabacchi. Pe’ Caserta aspettiamo. Dirà ‘O Generale che dobbiamo fare.

Dopo queste parole trattenne il cavallo per le redini. Non aveva ricevuto istruzioni di inseguire il nemico ed era meglio attendere i nuovi piani di attacco. D’ intorno gli giungevano i rumori della battaglia in corso, frammisti al gran concerto dei grilli e degli altri insetti in quel primo scorcio d’autunno travestito da piena estate . Ancora qualche scaramuccia, dovuta a pochi irriducibili, si accendeva intorno a Sant’Angelo e San Tammaro, cadute in mano borbonica, mentre più lontano era soprattutto il fragore delle artiglierie a richiamare l’attenzione verso il monte Tifata, dove il valoroso capitano Campanino, anche lui dell’Undicesimo, avrebbe conquistato la cima con un furioso combattimento corpo a corpo contro le truppe scelte del Generale Medici.

- Guagliò! – si rivolse, confidenzialmente l’ufficiale a un soldato che gli si era affiancato – corri, vai sulla collina e vedi se ci stanno nemici all’intorno!

- Ai comandi, Signor Tenente – scattò rapido il soldato.

Mariadangelo smontò da cavallo e ordinò di fare altrettanto anche agli altri.

- Mo’ sediamoci e aspettiamo. Se qualcuno ha fame ha il permesso di mangiare.

- Grazie Signor Tenente, è dall’alba che siamo a cavallo, a pancia vuota. – Risposero in coro gli uomini.

Il soldato inviato in perlustrazione sulla collina, raggiunse rapidamente la sommità e si mise a scrutare l’orizzonte e la pianura che si stendeva di fronte, prima dei ripidi contrafforti montani che anticipavano le alture di San Leucio. Oltre, appena dopo le folte macchie di pini e querce, sorgeva l’amata Reggia, il simbolo riconosciuto della dinastia e di Sua Maestà, Re Francesco II, ammirata dai sovrani di tutta Europa per l’eleganza delle linee architettoniche e le magnifiche scenografie dei giardini. Appena le divisioni Afan de Rivera e Tabacchi, avessero completato la manovra di accerchiamento, l’intero settore ovest garibaldino ne sarebbe rimasto preso in mezzo e isolato, privando Caserta, il caposaldo della difesa nemica, dell’ala sinistra e quindi con ogni probabilità della possibilità di resistere ad un rinnovato assalto, da più fronti, delle truppe borboniche.

- E certo Signor Tenente – se ne uscì un soldato – che se non fosse stato per noialtri Cacciatori, a Sua Maestà solo l’aiuto di Maria Vergine, ci poteva venire in soccorso. Che se avesse dovuto far assegnamento sul Reggimento della Guardia, male assai si sarebbe trovato! Eh! Signor Tenente, voi che ne pensate?

La critica del soldato colpiva duro. Purtroppo la Guardia di Sua Maestà, al battesimo del fuoco, poche ore prima, non aveva reso onore al Sovrano. Si era presentata baldanzosa sul campo di battaglia tutta scintillante nella divisa multicolore, la più bella, si diceva, fra tutti gli eserciti del continente, ma alle prime schioppettate, si era subito sbandata per darsi poi a una fuga disordinata. Una pagina vergognosa da dimenticare e riscattare con una vittoria decisiva, sul campo.

Tuttavia Mariadangelo, al sarcasmo del soldato si sentì in dovere di rispondere con tono asciutto.

- Che sei uno sciocco.- replicò - In guerra ognuno deve fare la sua parte e criticare i comportamenti delle altre unità è una grave forma di insubordinazione. Oh! E che vogliamo metterci tutti a fare i generali adesso!

- Con rispetto Signor Tenente – si affrettò a rispondere il soldato – non avevo intenzione di offendere...

- Appunto soldato. Silenzio, ubbidisci, combatti e fai silenzio... Questo ti conviene.

Ma dalla collina il soldato esploratore disegnava a braccia alzate grandi cenni per richiamare l’attenzione.

- Ma che dici? Fatti capire soldato! – Imprecava Mariadangelo all’indirizzo dell’uomo.

Quello, visto che non riusciva a farsi comprendere scese a rotta di collo giù per il pendio con tanto di zaino e fucile a tracolla. Era tutto sudato. Il sole, il bel sole caldo del sud, si stava facendo sentire già nel primo mattino.

- Signor Tenente – disse trafelato appena fu a tiro – Signor Tenente, Maria Vergine e Tutti i Santi…

- E parla! Parla, fatti intendere…

- Maria Vergine! Signor Tenente – disse ansimando, cercando di dare un corso razionale alle parole, tanto era agitato – Maria Vergine, là, laggiù, Signor Tenente, sulla strada, quella da Santa Maria per Sant’Angelo…- il fiato gli venne meno per l’emozione e le parole gli si smorzarono in gola…

- ma senti a me guagliò, tu fossi uscito pazzo? – urlò spazientito Mariadangelo per poi esortarlo - Avanti!... e pparla…!

- Signor Tenente – rispose il soldato, dopo aver ripreso fiato – Garibbaldi! Signor Tenente, Garibbaldi ci sta!

- Maronna! – esclamò Mariadangelo – Questo è proprio pazzo! Che Garibbaldi d’Eggitto vai dicendo?

- Lo giuro Signor Tenente, lo giuro! E’ sulla strada a cento, centocinquanta passi e sta venendo per di qua, Maria Santissima e…Senza scorta, su un calesse, Signor Tenente!

Mariadangelo restò un attimo titubante, un brivido prima gelido e poi caldo lo percorse lungo tutta la persona. – Possibile? – Si disse. Ma poi temendo che un’ulteriore incertezza potesse pregiudicare una sorte insperata, con decisione fulminea ordinò:

- Cacciatori! In sella, svelti!

I borbonici si schierarono sullo stretto pianoro da cui per un dolce declivio si giungeva sulla strada per Sant’Angelo.

Mariadangelo, istintivamente portò la mano alla sciabola. Se quanto riferito dal soldato era vero, forse i Santi del Paradiso stavano prendendo le parti di Sua Maestà. Gli stavano servendo il generale Garibaldi su un piatto d’argento. Il generale, l’Eroe odiato, stava finendo in bocca all’Undicesimo Cacciatori della brigata Barbalonga, con tanto di calesse e senza scorta.

- Viva ‘O Re! – Gridò d’un tratto l’Alfiere – Caricaaa!

L’intero drappello seguì l’ufficiale. Dal pianoro si era appena intravisto il caratteristico copricapo che Giuseppe Garibaldi non abbandonava mai.

In effetti, il Generale, in perlustrazione lungo la linea del fronte, si era spinto come d’abitudine a ridosso della prima linea, per cogliere da vicino le mosse del nemico, finendo inavvertitamente in una posizione troppo esposta a causa della fulminea avanzata dei Cacciatori napoletani.

All’urlo dei Borbonici, il calesse che lo trasportava, si arrestò di colpo, mentre il cocchiere tirava le redini dei cavalli e si volgeva smarrito con lo sguardo all’indietro. Garibaldi, egli stesso sorpreso, si alzò in piedi sul pianale per comprendere cosa stesse avvenendo e si trovò di fronte l’Undicesimo che caricava a perdifiato. Ma non accennò a ripararsi, neanche quando il fuoco dei moschetti borbonici prese a bersagliare lui, il calesse e il povero cocchiere che rimase ucciso quasi all’istante.

- A morte! A morte Garibbaldo! – Gridavano i cacciatori.

Le pallottole sibilavano e crivellavano la vettura da tutte le parti senza però sfiorare il Generale.

Mariadangelo, sfoderò la sciabola e puntandola diritta davanti a se, si lanciò nell’assalto finale contro l’odiato invasore, gridando:

- Stavolta, sei morto, Peppì!

Garibaldi imperturbabile restò in piedi indifferente alla minaccia ma, quasi incredulo che un semplice drappello stesse per cogliere un successo inaudito.

Furono i carabinieri della compagnia genovese del generale Mosto e alcuni uomini della divisione lombarda di Simonetta a risolvere la situazione. Quelli dell’Undicesimo furono fermati nel loro impeto dal fuoco a mitraglia di costoro che si trovavano in zona per puro caso. Erano accorsi alle urla dei borbonici ed erano rimasti impietriti nel vedere Garibaldi indifeso, sotto il fuoco nemico.

I Cacciatori dell’Undicesimo al comando dell’Alfiere Mariadangelo si sacrificarono fino all’ultimo nel tentativo vano di offrire il più ambito trofeo a Sua Maestà, Re Francesco. Purtroppo per loro il destino e la storia si erano accordati da tempo e le sorti del Regno di Napoli, inesorabilmente decise nonostante l’eroica azione dell’Undicesimo Cacciatori.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)