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racconto

Lascia ch’io pianga

Per un brev(issimo) romanzo semi-serio
e semi-epistolare del’700

di Ruggero Scarponi

Il Cav. De Valtont alla Marchesa de Maldent

Mia cara amica, ma dovrei chiamarvi piuttosto mia crudele amica, dal momento che non fate che illudermi e disilludermi. Quanti giorni sono, oramai, che sfuggite il mio amore? Una settimana, un mese, un anno? Un’eternità, dico io, Madame. Eppure ieri quando mi avete fatto cenno di nascondermi nel “labirinto” ho creduto che finalmente avreste avuto compassione del mio cuore. Ho atteso nel buio che mi raggiungeste, pieno di fiducia. Ma mi sbagliavo, naturalmente, ancora una volta. Mi avete lasciato tra le siepi di bosso e le stelle del cielo per tutta una notte e Dio solo sa come non mi sia preso un terribile raffreddore a causa del freddo e dell’umido che ho patito fin quasi all’alba, pur di attendervi. Eppure, vedete, non ho neanche voluto posare la testa sul cuscino, per riposare un’ora che sono venuto subito qui ai vostri piedi, pronto per essere vostro schiavo se necessario, pur di ricevere l’amore che tante volte mi avete promesso.

La Marchesa de Maldent al Cav De Valtont

Amico mio! Amico mio, come potete mettere in dubbio i sentimenti che nutro per voi? Mi accusate di disilludervi con promesse che non mantengo, come fossi una perfida, ingrata e crudele. Siete ingiusto, mio Signore. Voi dimenticate le forme, le convenzioni. Sapete bene che a una Dama non si proibisce di amare, se ha una giusta considerazione del proprio rango e del proprio nome. Voi avete già il mio cuore, pazientate e avrete anche la mia anima, ma tutto a un tempo.

Ma adesso perdonatemi. Perdonatemi per tutti i disagi che avete dovuto subire, non a causa mia, vi giuro, ma a causa del decoro che sono certa prema a voi quanto a mio marito. E se non ho potuto raggiungervi stanotte nel labirinto…Non fatemi dire, vi basti sapere che non è stato possibile. Ma finalmente domani, insieme, vedremo spuntare l’aurora. Domani come ben sapete sarò a teatro per assistere alla replica di quell’opera che tutti acclamano, il Rinaldo del Sig. Giorgio Federico Haendel. Vi aspetterò nel mio palco, dove sarò sola, sola per voi, mio fedele amico e vi ricompenserò, vedrete, abbiate fiducia.

Come il Cav. De Valtont e la Marchesa De Maldent
furono a teatro per assistere all’opera “Rinaldo”

- Avete visto amico mio che stavolta ho mantenuto la promessa? Non vi avevo assicurato, infatti, che mi avreste trovato da sola, qui nel palco? Vedete bene che mio marito, non c’è, non mi ha accompagnato, ha preferito il tavolo da gioco e la mia fedele Marie…la piccola Marie, sarà una tomba, credetemi, mi è molto devota la ragazza. Ancora un po’ di pazienza vi chiedo però, prima di lasciarvi prendere ciò che vi appartiene, e sapete bene ciò che vi appartiene, già da tempo, da quando mi faceste visita, la prima volta, la primavera scorsa. Aspettate dunque che Farinelli intoni quell’aria così dolce: “Lascia ch’io pianga”. A quel momento, senza farcene accorgere, ci saremo entrambi ritirati, pian, piano all’interno del palco, al buio tra gli spessi tendaggi mentre tutti saranno intenti all’ascolto. Non siate impaziente, amico mio, vedrete che se saprete gustare insieme a me …anche il piacere di una musica celeste, allora conoscerete cose che i comuni mortali non si sognano neanche. Solo promettetemi che sarete capace di attendere e che non mi metterete in imbarazzo. Ah! Dimenticavo, l’aria di Farinelli è breve, fate, dunque, che il nostro incontro sia, ahimè, ugualmente breve ma indimenticabile. Dopo cavaliere, sarà opportuno riprendere il nostro posto ben in vista sul palco, prima che qualcuno si avveda della nostra assenza.

Il Cavaliere De Valtont assentì con un cenno del capo. Era incredulo di trovarsi finalmente da solo accanto alla Marchesa De Maldent, che non riuscì a replicare nulla se non con un sorriso a stento trattenuto, ma che potendo si sarebbe trasformato in una sgangherata risata a significare l’esultanza del cacciatore in procinto d’ infilzare una preda a lungo rincorsa.

Come Farinelli cantò la meravigliosa aria di Almirena

L’opera ebbe inizio.

Durante la rappresentazione, come convenuto con la Marchesa, senza dare nell’occhio, i due amanti rincularono con le poltrone all’interno del palco e quando finalmente si giunse all’aria “Lascia ch’io pianga” si trovarono già ben nascosti tra i pesanti tendaggi. Valtont aveva catturato la mano della marchesa all’inizio del secondo atto e già, alla scena quarta, si stava avvicinando con le labbra al collo della dama il cui respiro si era fatto roco e ansimante. Fu allora che Farinelli irruppe sulla scena come uno squarcio di luce tra le nubi di una giornata bigia e iniziò a volare sulle prime note della sarabanda del Signor Giorgio Federico Haendel.

Las-cia ch’io pian-ga la du-ra sor-te

E che so-spi-ri la li-ber-tà

Così cantava la bella Almirena, prigioniera della perfida Armida.

A quelle note le labbra di Valtont si arrestarono mezzo socchiuse e l’espressione di intensa passione si mutò in vivo stupore. Così anche la Marchesa, che appoggiata con la schiena al petto del cavaliere aveva chiuso gli occhi rapita.

Farinelli, da solo, sulla scena, rivestito di un ampio mantello, lanciava bagliori infuocati dai suoi occhi sfrontati, mentre gli acuti e le terzine che uscivano impudenti dalla sua bocca scuotevano le anime degli spettatori, come fuscelli durante una tempesta. La sarabanda procedeva lenta e struggente con i ritornelli cosparsi di legature e trilli. Nessuno dei presenti sfuggì alla sua magia. Nemmeno i due amanti che si erano rifugiati nel buio tra i tendaggi.

E quando si dileguò l’eco dell’ultima nota e tutti si furono ripresi dall’incanto, solo allora Valtont si accorse di stringere ancora e soltanto la mano della Marchesa.

Con garbo e accortezza, senza dare nell’occhio i due amici ripresero posizione sul palco dove furono notati mentre applaudivano visibilmente commossi l’aria cantata da Farinelli.

Epilogo

- Dunque mia signora, ancora una volta non è accaduto nulla – disse Valtont alla Marchesa, un giorno, mentre si trovava in visita nella sua villa di campagna.

- Eppure avevate promesso…- aggiunse con un tono di leggero rimprovero.

- Nulla Signore? – rispose risentita la donna – nulla dite? Molto, molto, è avvenuto, invece, Signor Cavaliere, parola mia.

Dato in Roma per i tipi di Papale-Papale
nell’anno di grazia MMXII


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