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Un Tribunale mondiale

a difesa dell’ambiente

Tutelare le risorse collettive, garantire il diritto ai beni comuni, migliorare la qualità di vita delle persone. I vantaggi di una governance internazionale dell’ambiente.

I deludenti risultati di RIO+20, ripropongono, tra gli altri argomenti, la necessità di porre in essere un Tribunale mondiale a difesa dell’ambiente; argomento da anni proposto dall’ICEF e riproposto attraverso un incontro tra esperti.

Una governance per l’ambiente da costruire su scala planetaria. Uno strumento per rendere effettivo l’accesso ai beni comuni indispensabili per la vita. Una Corte per sanzionare i crimini ambientali a livello mondiale. Il primo, importante merito del convegno dell’ICEF (International Court of the Environment Foundation), è quello di aver fatto comprendere quanto sia sentita, tra gli addetti ai lavori, l’esigenza di individuare i metodi migliori per garantire il diritto ambientale a livello globale. E quanto, tale esigenza sia strettamente connessa con la volontà di tutelare effettivamente la salute e la qualità di vita di tutti gli esseri umani, indipendentemente dallo Stato di appartenenza.



Mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ricorda che “La Chiesa da tempo si batte per il riconoscimento del diritto di tutti i popoli di accedere ai beni collettivi, che non possono essere usati in modo indiscriminato ed esclusivo da parte di pochi. Per raggiungere l’obiettivo occorre superare la concezione meramente mercantile della gestione di beni quali l’acqua e l’energia. Ma le attuali strutture internazionali appaiono drammaticamente insufficienti. Ecco perché la Santa Sede sostiene l’esigenza di una governance internazionale dell’ambiente da raggiungere attraverso la creazione di una autorità politica mondiale e attraverso una riforma dell’UNEP (United Nations Environment Programme) e della stessa Onu che, per come è concepita oggi, non è organizzata in termini pienamente democratici. Ci facciamo inoltre promotori della nascita di una vera Corte di Giustizia internazionale, che possa monitorare gli impegni assunti dagli Stati e aiutare a rendere effettivo il bene comune mondiale”.

“Il grande merito dei vertici ICEF è aver capito che l’aspetto della tutela ambientale passa necessariamente per l’aspetto giuridico”, commenta Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord, associazione che riunisce oltre cento giornalisti ambientali in una ventina di Paesi. “Non è sufficiente che a livello nazionale vi siano buoni sistemi legislativi. Occorre che vi siano strumenti che possano dirimere le questioni a un livello più alto e soprattutto occorre uno strumento giudiziario capace di punire i crimini ambientali al pari di quelli catalogati come crimini contro l’umanità”.

Quanto l’esigenza di strumenti di controllo ambientale a livello mondiale sia sentita da chi ogni giorno lavora con i beni collettivi, è ben spiegata da Stefano Masini, responsabile ambiente e territorio Coldiretti: “Ci sono comportamenti speculativi sul mercato delle materie prime agricole che dovrebbe essere oggetto di verifica e repressione perché incidono direttamente sulla possibilità dello sviluppo locale di molte aree del mondo. Tali flussi speculativi affamano milioni di persone e privano molte comunità locali del necessario per vivere. Un’autorità sovranazionale permetterebbe di controllare tali negative dinamiche incidendo direttamente sulla qualità di vita degli esseri umani”.

“Purtroppo la nostra società è regolata sostanzialmente dal solo indice PIL. Il prodotto interno lordo è un indice dittatoriale, che determina lo status della nostra società nel mondo. Questa dittatura ha portato a un modello di sviluppo insostenibile perché consuma più risorse naturali di quanto il mondo sia in grado di produrne”, osserva Vittorio Prodi, europarlamentare e membro della Commissione Parlamentare per l’ambiente, la sanità e la sicurezza alimentare. “Occorre quindi disciplinare l’uso delle materie prime e dobbiamo introdurre un nuovo diritto umano: quello dell’accesso equo alle risorse naturali per ogni persona. Per fare questo, costruire un sistema di governo globale è una tappa essenziale”.

I buoni propositi però cozzano con realtà ben presenti.



Passando a livello operativo, le cose ovviamente si complicano. E individuare gli strumenti migliori per raggiungere il risultato non è affatto facile. “Non so quale potrebbe essere la soluzione migliore per garantire una efficace e globale tutela ambientale” spiega Cuno Tarfusser, vicepresidente della Corte Penale Internazionale de L’Aja. “Si potrebbe pensare a un’Agenzia Internazionale dell’Ambiente, che però sarebbe comunque un’autorità politica e forse risulterebbe inefficace. Una Corte internazionale sul modello della Corte di Giustizia dell’Onu rischia di essere inutile perché sarebbe comunque una Corte di Stati. Creare una Corte penale ambientale europea avrebbe senso solo se fosse un traino per altre iniziative analoghe. Ecco che quindi la via migliore potrebbe essere quella di emendare lo statuto dell’attuale Corte Penale Internazionale, estendendo le sue competenze ai crimini ambientali”. Nonostante i suoi limiti, quest’ultima ipotesi, secondo Tarfusser, potrebbe garantire numerosi vantaggi: “Si sfrutterebbe una struttura già esistente, funzionante e dotata di una solida base giuridica. E che dispone inoltre di una competenza teorica e pratica consolidata sui crimini contro l’umanità, nonostante il concetto di crimine ambientale mondiale sia ancora tutto da scrivere”.

La strada verso la meta è quindi tutt’altro che in discesa. Ma l’obiettivo giustifica lo sforzo. “L’impresa è enorme. Ma già parlare di una Corte Internazionale per l’Ambiente è un successo” commenta l’ex Guardasigilli Giovanni Conso, presidente ICEF e presidente onorario dell’Accademia Nazionale dei Lincei. “Non dimentichiamoci che, anni fa, sembrava impossibile perseguire i crimini contro l’umanità a livello internazionale. I risultati ottenuti fanno sperare che raggiungere questo nuovo ambizioso obiettivo non sia affatto un’utopia”.


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