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parchi e OASI DELLO SPIRITO

Nella Mappa dei Parchi dello Spirito della Provincia di Roma, il dito è caduto sul Monte Guadagnolo nel territorio di Capranica Prenestina. Qui tra i boschi, un reticolo di rocce nasconde un tesoro, l’Oasi:

Santuario Madre delle Grazie alla Mentorella

La diffusione del messaggio benedettino nel Lazio


Nei secoli tutta l’Europa ha visto fiorire importanti luoghi di culto dedicati a san Benedetto e al suo Ordine, ma al Lazio è riservata il primato di “terra di Benedetto”. Infatti questa regione d’Italia risuona del messaggio benedettino proveniente dai numerosi monasteri sparsi sul suo territorio e dedicati al santo. Tra i santuari toccati dalla Via Benedicti è presente il piccolo ma suggestivo Santuario della Madonna della Mentorella presso Capranica Prenestina, molto caro a Papa Giovanni Paolo II. Collocato su uno sperone roccioso dei monti Prenestini a 1.220 metri di quota, è ritenuto il più antico santuario d’Italia e d’Europa. Fu gestito dai benedettini di Subiaco dal IX al XIV secolo, il periodo del massimo splendore dell’Abbazia della Mentorella, perché sono di questo tempo i lavori più importanti e i suoi ornamenti.

Successivamente, dal maggio 1977, il santuario passò alle dirette dipendenze della Provincia Polacca della stessa Congregazione. Rupi e verdi pascoli annunciano il Monte Guadagnalo, 1218 metri, sentinella del Comune di Capranica Prenestina e della valle dell’Aniene.

Nella quiete di quassù si adagia il Santuario della Mentorella.

Si narra che la sua origine risalga all’apparizione di Gesù a S. Eustachio, martire del primo secolo, durante una caccia al cervo su questi monti; altre fonti parlano di Costantino, altre ancora di Benedetto. Notizie utili datano 594, ma è nel 984 che la Mentorella viene assegnata ai benedettini. Restaurato nel 1600, il Santuario del 1857 è retto da padri Resurrezionisti polacchi.

Architettura rigorosa con elementi medioevali, la Mentorella conserva ben visibili dipinti del 400, tra cui immagini di San Benedetto e di Santa Scolastica; nella navata centrale un ciborio custodisce una statua lignea di una madonna con bambino, esempio tra i più preziosi del genere del ‘200.

Si è già detto della caccia al cervo, ma il monte Guadagnolo ospita, tra le sue suggestive rocce, i suoi boschi ed i pittoreschi altopiani, una gamma infinita di animali: si tende l’orecchio e si possono ascoltare il merlo, il cuculo ed il rigogolo. Tra piante d’alto fusto ed arbusti quali il pungitopo, il cardo, la rovella e il carpino nero, si aggirano tassi, martore, volpi e lepri.

Dalla Mentorella lo sguardo si perde su paesaggi collinari e pianori: distese di verde e campi coltivati, colori che mutano di stagione in stagione. La quiete, il paesaggio, l’arte e l’atmosfera d’insieme che si respira alla Mentorella hanno a lungo attirato quassù Giovanni Paolo II, prima della sua elezione al Soglio Pontificio e subito dopo: “Questo luogo mi ha aiutato a pregare… Sono venuto a cantare il Magnificat”.

   


 Ricordo di un uomo speciale

di Justyna Dehmel

Percorso di visita


Il Santuario della Madonna della Mentorella è raggiungibile dal piccolo centro abitato di Guadagnolo, frazione di Capranica Prenestina, attraverso il “Sentiero Wojtyla”. San Benedetto visse per due anni nella grotta naturale ancora oggi visitabile a pochi passi dalla chiesa del santuario, dove è custodita la statua lignea della Madonna delle Grazie e del Bambino, il più grande “tesoro” della Mentorella, un altorilievo del XII secolo di scuola laziale tra le più importanti espressioni della scultura lignea regionale.

…giungeva proprio dalla Mentorella, il Cardinale atteso a Roma per il Conclave… e vi entrò nel mentre le porte si chiudevano…un calcolo sbagliato delle distanze e del traffico…ma andò bene, un segno dell’Alto, perché qui era stato già deciso che quel cardinale polacco ne uscisse Papa: il primo non italiano, dopo tanti anni.

Un lungo regno, all’interno del secolo breve, per svolgere un’azione da protagonista nel campo ecclesiale e quello religioso, con forte connotazione ed influenza sul sociale e sulla vita in generale dell’uomo in tempi difficili.

Ha pregato e a volte alzato la voce verso le ingiustizie. E ancor più si è speso, viaggiando instancabilmente per il mondo, per la Pace, e semplicemente scriveva, perché tutti comprendessero:

“La pace si costruisce.
Aprite gli occhi a visioni di pace!
Parlate un linguaggio di pace!
Fate gesti di pace!
Perché la pratica della pace
porta alla pace.
La pace si rivela e si offre
a coloro che realizzano,
giorno dopo giorno,
tutte quelle forme di pace
di cui sono capaci.”

Il suo impegno è stato riconosciuto ovunque, la sua parola ha accompagnato i nostri tormenti, a tutti ha ricordato con voce possente: “Non abbiate paura” , e questa breve frase sintetizza la Sua beatitudine. Con grande e sollecito coraggio la Chiesa lo ha proclamato Beato riconoscendogli virtù attraverso il ricordo del Suo successore Benedetto XVI :

“Cari fratelli e sorelle,come sapete, il 1° maggio prossimo avrò la gioia di proclamare Beato il Venerabile Papa Giovanni Paolo II, mio amato predecessore. La data scelta è molto significativa: sarà infatti la II Domenica di Pasqua, che egli stesso intitolò alla Divina Misericordia, e nella cui vigilia terminò la sua vita terrena. Quanti lo hanno conosciuto, quanti lo hanno stimato e amato, non potranno non gioire con la Chiesa per questo evento. Siamo felici!”


 Una scalata memorabile

di Ruggero Scarponi

Rivendicazioni più datate fanno risalire l’invenzione della bicicletta ad un disegno preciso del mezzo trovato all’interno del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, nel foglio 133v e accompagnato da altre tavole raffiguranti congegni meccanici, come provato dal professore Augusto Marinoni, massima autorità italiana su Leonardo da Vinci e ad oggi, sebbene messo in dubbio dalla critica, mai smentito dagli studiosi, ma anche ad una illustrazione scoperta su una finestra di una chiesa del paese di Stoke Poges (Backinghamshire, Inghilterra) installata nel XVI secolo e raffigurante un angelo sopra un attrezzo che è stato riconosciuto da alcuni come prototipo del modello hobby horse. Invece si ritiene più probabile considerarlo un congegno ad una sola ruota che spesso si associava, nell’iconografia medievale, a cherubini e serafini.

L’origine della prima bicicletta effettivamente utilizzata è da attribuirsi al barone Karl von Drais, un impiegato statale del Gran Ducato di Baden in Germania. Karl Drais inventò la sua Laufmachine (macchina da corsa) nel 1817 che fu chiamata dalla stampa draisine (o anche draisienne, in Italia draisina) e più tardi velocipede. Il maggiore miglioramento in questo progetto era l’aggiunta dello sterzo. Si dice che il suo interesse nel trovare un’alternativa all’uso del cavallo fosse dovuto all’inedia e alle frequenti morti dei cavalli causate dall’insufficienza dei raccolti del 1816 (il cosiddetto anno senza estate a seguito dell’eruzione vulcanica del Monte Tambora sull’isola Sumbawa – nell’attuale Indonesia - avvenuta tra il 5 ed il 15 aprile del 1815).

Ci siamo lasciati Fontana alle spalle, ier l’altro. Erano le sei del mattino quando abbiamo preso a salire la lunga dorsale dei Colli Albani. Davanti a noi, la scura massa del Monte Cavo, coperto di verdi boschi e nascosto dalle nuvole. Mio fratello ed io, due impiegati cinquantenni in bicicletta con una mèta: raggiungere il Santuario della Mentorella nel mezzo dei Monti Prenestini. Senza fretta, adagio come si conviene a una certa età, ma con l’ostinata determinazione di chi ha deciso di compiere un’impresa. Da cento a milleduecentocinquanta sul livello del mare. Non male, per due ciclisti della “domenica”. Ma ce la siamo studiata. Da tre mesi. Un po’ di fondo, un po’ di salite per affrontare, senza traumi l’ascensione. Le biciclette sono di quelle buone, da “corsa”. Tutto è stato programmato con cura. C’è un sapore e un piacere antico nel preparare le bici per l’escursione. Poi passiamo a cerchiare sulla mappa i punti di sosta e di ristoro. Così ci immergiamo nel territorio prima ancora di transitarvi. Si familiarizza con i nomi delle località, si evidenziano le altimetrie, il disegno tortuoso della strada i primi contrafforti dei monti, i tanti tornanti, che ci faranno soffrire, ma anche regalare splendidi scorci sulla pianura, fino al mare. Sudore, fatica e felicità. Di andare. Questo è il viaggio.

Quello che la strada la senti per davvero, mica come con l’automobile…. Con la bici il viaggio te lo guadagni, lo fai tuo e per qualche giorno ancora, una volta concluso, te lo senti nelle gambe e nella testa. Così lasciammo Fontana ieri l’altro e subito ci trovammo su una stradina che saliva tra ampie campagne, a Monte Giove, tra vigne, ulivi e casolari, sulla pedemontana dei Castelli Romani, a mezza costa tra il mare e la dorsale dei Colli Albani. Subito Genzano, poi lo specchio di Diana, la Diana Nemorense del Ramo d’Oro, e Nemi la Nemi delle fragole. Fin qui tutta salita, bella e suggestiva; nel tratto che sale da Genzano poi, sovrastata da imponenti castagneti Un caffè nel bar della piazzetta, a Nemi, davanti alla fontana è la prima sosta. Ora ci attende uno “strappo”, fino ai Pratoni del Vivaro.

La strada si immerge nei castagni e il profumo del bosco, ti inebria, quasi ti stordisce. Poi si scavalla, ovvero la salita si trasforma in piano. Larghi prati, verdi di erbetta prendono il posto delle scure masse dei castagni e delle querce. L’orizzonte si apre e solo il fianco allungato del Monte Artemisio impedisce all’occhio di scorrere il pendio per correre giù, fino a Velletri. Ma la mèta è oltre, oltre le vaste distese dove il bestiame brado pascola e si trastulla indolente. La mèta è oltre. Bisogna affrontare la valle e oltrepassare la minuscola Carchitti, regina delle pèsche, nell’estate.


secolo XV
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secolo XIX
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secolo XXI

Quando risaliamo siamo già in vista di Palestrina. Ce lo conferma l’imponente tempio della Fortuna Primigenia. Altra sosta. Siamo alla base di un nuovo “strappo”, stavolta più ambizioso, questo ci porterà su, a Capranica. Al bar dove ci fermiamo un tizio ci guarda con curiosità, poi si fa avanti e chiede. – Da dove? – Da Fontana di Papa - Però…! …e dove andate? – a Guadagnolo… poi alla Mentorella – un bel coraggio…!- La salita è dura. Il paesaggio diventa a ogni tornante più aspro, più selvaggio, compare la roccia, qualche rara casupola al margine della strada si staglia sul fianco della montagna nel suo rivestimento in pietra. Ecco Castel San Pietro col bel campanile aguzzo. E dopo, via!

Su a Capranica, prima del grande balzo. Siamo ben oltre la metà della mattina. Appena sulla piazza, scendiamo dalle bici e ci troviamo circondati da ragazzini. Tante domande. – Da dove? – Da giù, dal mare – Ehhhh! – Risate, complimenti, incoraggiamenti.- E adesso? – Adesso si va su, a Guadagnolo e poi alla Mentorella – Ehhhh!.- Affrontiamo la parte più tosta.

Da qui fino a Guadagnolo è senza respiro. Non spiana mai, stai sempre sui pedali a tirare. E ti godi la montagna. La senti tua, pedalata dopo pedalata. Gli abeti sembra ti guardino sbigottiti alti e superbi. Le querce invece fanno scendere le fronde fin quasi a sfiorarti come volessero darti una mano. E dai uno sguardo… giù nella piana… che sembra il mondo, che sta sotto di te, fino al mare, nascosto da una nebbiolina azzurrina, quasi grigia.

Arriviamo sulla piazza di Guadagnolo alle due passate. È stata dura! Mi sarei aspettato la banda ad accoglierci. Entriamo in un bar per mangiare qualcosa. – Ehhh ne vengono di ciclisti quassù, tutti i giorni…- E io che credevo…!- E allora va bene anche un bicchiere di vino genuino e un bel panino con prosciutto, per una degna conclusione. E dopo, mentre si torna giù, un po’ più in basso, ci fermiamo alla Mentorella. C’è la grotta di San Benedetto e la rupe che si apre sulla vallata. Lì tra i bianchi calcari, gli odorosi mirti e i pini la bellezza ti corre incontro da tutte le parti e allora senti che quella giornata l’hai fatta tua e non la scorderai più… per tutta la vita.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)