#369 - 1 dicembre 2025
AAAAAATTENZIONE - Cari lettori, questo numero del giornale - ultimo per il 2025 - ci accomapgnerà fino a NATALE e le Festività del VECCHIO ANNO. Allo scoccare della mezzanotte del 31 DICEMBRE con il Brindisi del NUOVO ANNO, andrà in rete il nuovo numero 370: GIOVEDI 1° GENNAIO 2026 - CORDIALI AUGURI DI BUON NATALE BUON ANNO e BUONA LETTURA - ORA PER TUTTI un po' di HUMOUR - E' da ubriachi che si affrontano le migliori conversazioni - Una mente come la tua à affascinante per il mio lavoro - sei psicologo? - No architetto, mi affascinano gli spazi vuoti. - Il mio carrozziere ha detto che fate bene ad usare WathsApp mentre guidate - Recenti studi hanno dimostrato che le donne che ingrassano vivono più a lungo degli uomini che glielo fanno notare - al principio era il nulla...poi qualcosa è andato storto - una volta ero gentile con tutti, poi sono guarito.
Storia

LEGGI NOTE SULLA
MEMORIA DEI GIORNI

Woody Allen: Un genio della commedia humour, che con i suoi film (sceneggiati, diretti e interpretati da lui) ha ritratto in maniera dissacrante la società americana, non lesinando mai citazioni colte di grandi registi del passato, da Bergman a Fellini.
Nato a New York, da famiglia ebraica, Allan Stewart Königsberg (il vero nome) abbandona gli studi per dedicarsi al cabaret e alla sua sconfinata passione per il jazz, che lo porta ad assumere il nome d'arte, Woody Allen, in onore del noto clarinettista Woody Herman, quando inizia come autore televisivo per trasmissioni di successo, come The Ed Sullivan Show.
L'abilità di scrittore si conferma con il teatro e poi con il cinema, dove esordisce nel 1969 in "Prendi i soldi e scappa". Negli anni Settanta trova la musa ispiratrice dei suoi più celebri capolavori in Diane Keaton: da Provaci ancora, Sam (1972) a Manhattan (1979), passando per il riuscitissimo Io e Annie (1977), con cui porta a casa i primi due Oscar come "miglior film" e "migliore sceneggiatura originale".
Proficuo anche il sodalizio artistico, parallelamente a quello sentimentale, con Mia Farrow, protagonista di numerose pellicole, su tutte La rosa purpurea del Cairo (1985) e Crimini e misfatti (1989).
Premiato, sempre per la sceneggiatura, alla celebre "notte di Los Angeles" altre due volte nel 1987, con "Hannah e le sue sorelle", e nel 2012, con "Midnight in Paris", nel 1995 riceve il Leone d'oro alla carriera. Nell'estate del 2015 firma la regia di Irrational Man, a metà tra commedia e giallo. Negli anni successivi escono nelle sale Café Society (2016), La ruota delle meraviglie (2017), Un giorno di pioggia a New York (2019) e Rifkin's Festival, distribuito in Italia dal 6 maggio 2021.

Napoleone incoronato imperatore di Francia: Nella splendida cornice di Notre Dame, restaurata per l'occasione, ebbe luogo la cerimonia di incoronazione di Napoleone Bonaparte a imperatore dei francesi, con il titolo di Napoleone I. Era il 2 dicembre del 1804, l'11 frimaio anno XII secondo il calendario rivoluzionario in uso dal 1793.
La processione era partita dal Palazzo delle Tuileries, da quel momento elevata al rango di residenza imperiale, e da qui aveva sfilato tra la folla festante fino alla storica cattedrale gotica, dove ad attendere il futuro imperatore c'era papa Pio VII. Quest'ultimo assistette al rituale senza potervi partecipare direttamente, per espressa volontà del sovrano che, con il gesto di autoincoronazione, volle ribadire la propria superiorità su qualsiasi altra autorità.
Successivamente il pontefice chiese se aveva intenzione di agire in difesa della fede cattolica e di assicurare pace e giustizia nel suo regno, cui Napoleone rispose con la formula latina del «Profiteor», "prometto". Un rituale che rompeva decisamente con la tradizione dell'ancien regime, a cominciare dalla scelta di Notre Dame in luogo della cattedrale di Reims, fino a quel momento sede ufficiale delle incoronazioni.
L'evento storico fu reso immortale dal meraviglioso dipinto del pittore neoclassico Jacques-Louis David, oggi conservato al museo del Louvre di Parigi. Nella vita di Napoleone, l'incoronazione rappresentò il punto d'arrivo di una carriera fulminea, iniziata scalando rapidamente tutta la gerarchia militare, fino a ritrovarsi alla guida del popolo francese, con il titolo di primo console, dopo il rovesciamento del governo rivoluzionario.
L'opera di pacificazione dell'Europa, ottenuta soprattutto attraverso i successi militari sull'Impero austriaco, aprì la strada alla nascita della nuova dinastia imperiale, che adottò come insegna ufficiale l'aquila in volo, resa celebre dal Sacro Romano Impero.
A un anno di distanza dall'incoronazione, nello stesso giorno, Napoleone conseguì la vittoria militare di maggior prestigio: la battaglia di Austerlitz, in cui ebbe la meglio su austriaci e russi, dimostrando tutta la sua abilità di stratega.

Fondato il quotidiano "Avvenire": Parlare con un'unica e autorevole voce a tutti i cattolici italiani. Con quest'obiettivo la Conferenza Episcopale Italiana, raccogliendo l'auspicio di papa Paolo VI, promosse la fusione de L'Italia di Milano e L'Avvenire d'Italia di Bologna, per dar vita a una nuova testata a diffusione nazionale.
Nacque così Avvenire, fondato a Milano e lanciato in edicola il 4 dicembre 1968. Diretto da Leonardo Valente, il nuovo quotidiano ebbe un inizio difficile, legato alla scarsa diffusione territoriale. Con la guida di Angelo Narducci (1969-80) le cose cambiarono e grazie all'opera della CEI si riuscì a raggiungere i lettori di tutte le regioni.
Altra direzione foriera di importanti cambiamenti fu quella di Dino Boffo (1994-2009), con il quale vennero lanciati un giornale per ragazzi, "Popotus", e il sito web del quotidiano. In generale, nel nuovo millennio si è avvicinato maggiormente alla cronaca, legata ad esempio agli emarginati, ai perseguitati per motivi religiosi e alle problematiche connesse alla globalizzazione.
Fatto oggetto di una campagna denigratoria condotta da "il Giornale" di Vittorio Feltri (da cui l'espressione ricorrente "metodo Boffo"), con notizie poi ritrattate dallo stesso Feltri, nel settembre 2009 Boffo si è dimesso ed è stato sostituito da Marco Tarquinio. Dal maggio 2023 la testata è diretta da Marco Girardo.

Nelson Mandela: Politico sudafricano, nato a Mvezo (nel Sudafrica sud-orientale) e registrato all'anagrafe come Nelson Rolihlahla Mandela. È considerato un simbolo universale di lotta per la libertà e per l'uguaglianza tra gli uomini.
La storia di Madiba (dal nome del clan cui appartiene) è quella di un uomo animato sin da giovane dal desiderio di libertà e dal rifiuto di ogni sopruso. A vent'anni si trova a fuggire dal suo villaggio per ribellarsi a un matrimonio combinato.
Da studente in legge sposa la causa dell'African National Congress (ANC), battendosi contro la segregazione razziale della popolazione nera, cui una minoranza bianca nega qualsiasi diritto politico, sociale e civile.
Ma, parafrasando lo stesso Mandela, la «strada per la libertà non è mai facile» e il suo impegno lo porta a finire in prigione a 46 anni, dopo una condanna all'ergastolo per alto tradimento. Sono anni difficili ma anche di grande mobilitazione internazionale a sostegno del detenuto "numero 46664", che da dietro le sbarre riesce a dare forza al movimento antiapartheid.
Liberato l'11 febbraio del 1990, dopo ventisette anni di lavori forzati, tre anni dopo riceve il Nobel per la Pace e nel 1994 viene eletto Presidente del Sudafrica, a conclusione delle prime elezioni cui sono ammessi anche i cittadini neri.
Rimasto in carica fino al 1999, nel decennio successivo si ritira dall'attività politica, impegnandosi profondamente nella lotta contro l'AIDS. Aggravatosi per un'infezione polmonare nel marzo 2013, a luglio viene dichiarato in stato vegetativo permanente, fino al definitivo decesso nel dicembre dello stesso anno.

Il Giappone attacca la base di Pearl Harbor: L'aria di festa di una tranquilla domenica mattina nella base aeronavale americana di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, viene bruscamente interrotta dal rombo di oltre 300 caccia giapponesi. Lancette sulle 7.40, è l'inizio di un attacco a sorpresa tra i più drammatici della storia mondiale, non preceduto da alcuna dichiarazione di guerra.
Il raid di fuoco, concepito dall'ammiraglio Isoroku Yamamoto, va avanti per due ore e alle 9,45 lo scenario della baia consegna solo morte e distruzione: 2.400 vittime (in maggioranza militari) e circa 1.700 feriti.
I danni rilevati dal segretario alla Marina William Franklin Knox sono ingentissimi: 8 corazzate affondate o danneggiate; 3 incrociatori, 3 cacciatorpediniere, 2 navi ausiliarie, 1 posamine e 1 nave-bersaglio colati a picco; 188 aerei abbattuti. Da parte nipponica si tratta di una vittoria cruciale nel grande scacchiere dell'Oceano Pacifico, la cui conquista aveva portato l'Impero giapponese a sposare il progetto nazista di Hitler.
L'indomani il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt si rivolge al Congresso parlando, a proposito del 7 dicembre 1941, di una data da ricordare come «giorno dell'infamia» e chiedendo il sostegno alla dichiarazione di guerra contro il Giappone, votato poi all'unanimità (ad eccezione della deputata repubblicana Rankin).
È un evento destinato a cambiare le sorti del secondo conflitto mondiale, rispetto al quale, all'inizio delle ostilità, l'88% degli americani era per il non intervento. Inizia da qui quella feroce Guerra del Pacifico che vedrà l'utilizzo delle armi più disumane, a cominciare dai kamikaze nipponici fino all'apocalisse delle due atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki.
Nel frattempo, non saranno in pochi, tra gli analisti, a sospettare che l'amministrazione Roosvelt fosse al corrente dell'attacco a Pearl Harbor, partendo dal presupposto che era impossibile non accorgersi in tempo dell'avvicinamento di due corazzate, tre incrociatori, nove sottomarini e sei portaerei con l'insegna del Sol Levante.
Le diverse commissioni d'inchiesta istituite dal Congresso accerteranno, comunque, le gravi responsabilità delle alte cariche militari e di governo, Roosevelt incluso, nell'aver sottovalutato la minaccia. Nella memoria del popolo americano resterà indelebile il «giorno dell'infamia», attraverso il rituale del 7 dicembre che vede issare bandiere a mezz'asta davanti alle scuole e alle sedi istituzionali.
Ricca la produzione cinematografica sull'episodio, tra cui vanno ricordati il pluripremio Oscar Da qui all'eternità (1953) di Fred Zinnemann, Tora! Tora! Tora! (1970) di Richard Fleischer (premiato con una statuetta per gli effetti speciali) e più recentemente Pearl Harbor (2001) di Michael Bay.

L’Immacolata Concezione: L’Immacolata Concezione è una festa che ricorda un dogma cattolico, proclamato da papa Pio IX nel 1854. Con questo dogma la chiesa sancisce che la Madonna è stata preservata, sin dalla sua nascita, dal peccato originale. La tradizione dedica questo giorno alla realizzazione dell’albero di Natale e del Presepe.

Prima esecuzione dell’Inno di Mameli: Un'azione patriottica nel pieno di una cerimonia religiosa. Così si presentò per la prima volta in pubblico il Canto degli italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli, dal nome di colui che gli diede anima e parole (la musicò il compositore Michele Novaro).
L'episodio avvenne un venerdì di dicembre del 1847. Il calendario segnava il giorno 10, che per i Genovesi coincideva con una manifestazione religiosa molto sentita: la cerimonia dello scioglimento del voto in occasione dell'apparizione della Madonna a fra Candido Giusso, di cui ricorreva in quell'anno il centunesimo anniversario.
Come da tradizione, si teneva una processione che richiamava tutta la cittadinanza e che aveva termine sulla spianata di Oregina (quartiere sito nella parte alta del capoluogo ligure), all'ingresso del santuario di Nostra Signora di Loreto. L'occasione fu ritenuta propizia dal movimento rivoluzionario ispirato alle idee unitarie di Giuseppe Mazzini, che pensò di sfruttarla per organizzare una dimostrazione di forte impatto patriottico.
Ispiratore dell'iniziativa fu il poeta Goffredo Mameli, patriota e fervente mazziniano, che a soli vent'anni aveva scritto un inno patriottico, il Canto degli Italiani, destinato ad entrare nella storia di un popolo. Radunati sulla spianata circa 20mila patrioti, provenienti da diverse regioni, Mameli attese che il folto corteo religioso si avvicinasse e al momento opportuno diede inizio alla manifestazione.
Al segnale convenuto tutti i presenti, accompagnati dalla banda municipale "Casimiro Corradi" di Sestri Ponente, iniziarono a cantare le note di Fratelli d’Italia, mentre Mameli e Luigi Paris sventolavano il Tricolore sfidando la repressione della polizia austriaca. Considerato un simbolo rivoluzionario dagli Austriaci (era già stato utilizzato nei moti rivoluzionari degli anni Venti e Trenta), chi osava esporre la bandiera con i colori verde-bianco-rosso andava incontro a pene durissime.
Ciò amplificò il valore patriottico dell'iniziativa e da quella data Inno e Tricolore assunsero per la prima volta i significati simbolici che tuttora vengono loro attribuiti. Poche settimane dopo sarebbero scoppiati i Moti del '48 e non più tardi la Prima guerra d'indipendenza, da cui iniziò il lungo e faticoso cammino verso l'Unità d'Italia.
Bisogna aspettare un secolo, tuttavia, perché il Canto degli Italiani venga assunto come inno nazionale, seppur in via provvisoria. Nonostante una proposta di modifica all'articolo 12 della Costituzione Italiana, presentata nel 2006, rimane l'inno della Repubblica solo de facto.
Dal novembre 2012 una legge ne rende obbligatorio l'insegnamento nelle scuole. Il 15 novembre 2017, finalmente, la commissione Affari Costituzionali del Senato approva in via definitiva il disegno di legge che riconosce il testo del Canto degli italiani di Goffredo Mameli, e lo spartito musicale originale di Michele Novaro, quale inno nazionale della Repubblica Italiana.

Strage di piazza Fontana: In un venerdì uggioso di dicembre, Milano vive le ultime ore lavorative della settimana. Alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana la chiusura è stata posticipata di mezz'ora, come solitamente avviene in occasione della borsa-mercato degli operatori dell'agricoltura.
Nell'edificio sono presenti in sessanta, tra personale e utenti, diversi seduti intorno al tavolo ottagonale sito al centro della sala principale. Sotto quel tavolo, poco prima, una mano assassina ha nascosto una borsa nera con dentro 7 chili di gelignite (un potente esplosivo utilizzato nelle cave) e un timer impostato sulle 16.37. All'ora esatta un boato scuote la città e una pioggia di schegge di vetro investe decine di passanti.
Dentro la banca si materializza l'inferno: al posto del tavolo si è aperta una voragine e tutto intorno è un insieme confuso di marmi, vetri, documenti e corpi straziati. Muoiono sul colpo dodici persone a cui, nelle ore successive, se ne aggiungeranno altre cinque, mentre sono 86 i feriti.
L'illusione che si tratti di un atto terroristico isolato (alcuni pensano anche a una caldaia esplosa incidentalmente) svanisce presto: in meno di un'ora avvengono altre quattro esplosioni tra Milano (alla Banca Commerciale Italiana, solo in questo caso scoperta in tempo e fatta brillare dagli artificieri) e Roma (al passaggio sotterraneo di Via Veneto, davanti all'Altare della Patria e all'ingresso del Museo del Risorgimento).
Dietro tutto questo c'è un disegno eversivo ben congegnato, che fino all'inizio degli anni Ottanta precipiterà il paese in un clima di terrore e che sarà ricordato come «Strategia della tensione». Si farà largo inizialmente la pista anarchica e la notte successiva alla strage di piazza Fontana gli investigatori arresteranno diversi esponenti dei circoli anarchici milanesi.
Tra questi il ferroviere Giuseppe Pinelli che morirà due giorni dopo, precipitando dal quarto piano della Questura di Milano, in circostanze tuttora misteriose. L'episodio scatenerà una violenta campagna stampa nei confronti del commissario Luigi Calabresi, assassinato nel maggio del 1972 da esponenti del movimento di sinistra Lotta Continua.
Decenni di inchieste giudiziarie e giornalistiche e sette processi (l'ultimo nel 2005) non saranno sufficienti a trovare mandanti ed esecutori della strage di piazza di Fontana, ma emergeranno con evidenza le responsabilità di gruppi eversivi dell'estrema destra e di ambienti dei servizi segreti italiani e stranieri, animati dallo scopo di instaurare, attraverso gli attentati, uno stato di polizia permanente e rendere instabile la vita democratica del paese.
A dieci anni di distanza, sulla piazza milanese sarà inaugurata una lapide commemorativa con i nomi delle diciassette vittime. Tra i film sul drammatico evento, merita una citazione Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana (del 2012), premiato con tre David di Donatello.

Benigni debutta in TV: Una "signorina Buonasera" che annuncia il prossimo programma in stile impeccabile viene interrotta da un'irriverente pernacchia e d'improvviso l'immagine si distorce, lasciando il posto a una stalla. È l'intro di Onda libera, programma satirico che nel 1976 lancia sul piccolo schermo un poco più che sconosciuto Roberto Benigni.
Trasmesso su Rai Due e ideato dallo stesso mattatore toscano, insieme con il regista Beppe Recchia, si presenta subito come una trasmissione innovativa, fin dalla sigla d'apertura che appare come un'interruzione della programmazione ufficiale, simulando l'intrusione di un network clandestino.
Il titolo originale, Televacca (poi cambiato in "Onda libera" perché ritenuto troppo volgare), dice tutto dell'esplosività dei contenuti e del linguaggio tipici del "primo" Benigni, poi portati al successo al cinema, l'anno seguente, con il film d'esordio Berlinguer ti voglio bene.

Fondazione di Medici Senza Frontiere: Un'equipe di camici bianchi, uniti dalla comune esperienza in disumani teatri di guerra e in contesti sconvolti da cataclismi, decise di inaugurare una nuova era della medicina umanitaria, dando vita in Francia a un'organizzazione non governativa che non avesse confini nella sua azione. Di qui il nome Medici Senza Frontiere (dal francese Médecins Sans Frontières, noto anche con l'acronimo MSF).
Quel gruppo, la cui anima era il medico francese Bernard Kouchner, si era formato, all'interno della Croce Rossa, nel corso delle operazioni di soccorso alla popolazione del Biafra, decimata da una guerra feroce, e successivamente alla gente del Bangladesh colpita da una catastrofica alluvione.
Forti di queste esperienze decisero di metterle a frutto nell'ambito della neonata organizzazione, ispirata ai principi umanitari dell’etica medica e dell’imparzialità, senza distinzione di razza, religione o credo politico.
I primi banchi di prova furono affrontati in Honduras, Nicaragua e Vietnam, e già da qui si manifestò la duplice linea di intervento di MSF: da un lato si garantiva aiuto alla popolazione sia attraverso l'intervento sanitario e la fornitura di medicine, sia operando per una migliore gestione delle risorse, in primis dell'acqua; dall'altro si denunciava in maniera decisa, e senza sconti, all'opinione pubblica internazionale contesti di violenze e soprusi, scenari critici da tempo dimenticati, gestioni non trasparenti degli aiuti, etc.
Una linea che si rafforzò negli anni e che non escluse interventi militari sotto l'egida Onu, ritenuti necessari da MSF per contrastare genocidi e massacri di civili, come in Ruanda (nel 1994) e in Darfur (2004). Un ruolo prezioso ma certamente scomodo che in diversi frangenti vide l'ONG scontrarsi con governi e potentati economici.
Ciononostante, l'opera prestata durante la guerra in Kosovo le valse il Nobel per la Pace (insieme alla Croce Rossa sono le uniche organizzazioni umanitarie ad averlo ricevuto) del 1999, riconosciuto per la pionieristica attività umanitaria in vari continenti. Con 19 sedi nel mondo e 2.500 volontari (tra medici e operatori sanitari) attivi in 80 Paesi, MSF è oggi la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo.
Un sostegno prezioso alle sue attività arriva da milioni di donatori, tra i quali non sono ammesse aziende coinvolte nella produzione di armi e armamenti, di tabacco o appartenenti al settore farmaceutico. Nel novembre 2013 Medici Senza Frontiere è intervenuta a Cebu, nelle Filippine, per la catastrofe umanitaria provocata dal tifone Yolanda.

Strage di Natale: Sono da poco passate le 19 e il Rapido 904 - partito da Napoli e diretto a Milano - vede davanti a sé la grande galleria dell'Appennino, che con i suoi 18 km collega Bologna a Firenze. A bordo, tra i circa 300 passeggeri, regna un clima di relax domenicale, in attesa di rientrare a casa, e di gioiosa ansia di riabbracciare i parenti per le festività natalizie.
Una manciata di minuti e si consuma il dramma di quella che i media ricorderanno come Strage di Natale, primo atto della sanguinosa guerra di mafia che raggiungerà il culmine nei primi anni Novanta. Dopo aver percorso circa 8 km di galleria, in località San Benedetto Val di Sambro, si avverte un tremendo boato e in una frazione di secondo il convoglio si trasforma in un'infernale trappola di fiamme e schegge di vetro impazzite.
Il buio della galleria aumenta il panico delle persone che ignorano cosa sia accaduto, ma le grida di dolore e di disperazione di alcuni fanno presagire il peggio. Particolarmente straziante (come riportato dalle testimonianze dei sopravvissuti) è la voce disperata di una madre che chiama «Federica! Federica!», cercando sua figlia di 12 anni.
Ma il nome della ragazzina finisce nell'elenco delle 17 vittime (tra di loro altri due bambini, di 4 e 9 anni), di cui 15 morte sul colpo e altre due per le gravi ferite riportate. Gli oltre 260 feriti vengono soccorsi non senza difficoltà, visto che la linea elettrica è stata messa fuori uso dall'esplosione e la galleria - completamente al buio per la poca autonomia dei neon d’emergenza - è invasa dal fumo.
Determinante è la prontezza d'intervento del personale del treno (che riceverà per questo una medaglia d'oro) e la rapidità dei soccorsi, coordinati dal servizio centralizzato di Bologna Soccorso che, in occasione dei Mondiali di Calcio 1990, diverrà il primo nucleo attivo del servizio di emergenza 118.
L'acre odore di polvere da sparo avvertito dai soccorritori fa capire che si è trattato di un attentato. Le prime ipotesi ricadono sulla matrice terroristica ma gli anni di piombo sembrano ormai archiviati e molti dettagli portano in tutt'altra direzione.
Agli inquirenti non sembra infatti una casualità che l'episodio sia avvenuto poco distante dal luogo di un'altra tragedia avvenuta dieci anni prima: la strage del treno Italicus, in cui erano morte 12 persone. Si sospetta una strategia precisa di più soggetti. In questo scenario, assume un valore altamente simbolico la scelta dei parenti delle vittime di non autorizzare i funerali di Stato.
Nel frattempo emergono i primi riscontri. Un testimone afferma di aver notato qualcuno che ha sistemato due borsoni nel portabagagli del corridoio della nona carrozza, durante la sosta alla stazione di Firenze. Questo sposta l'indagine nel capoluogo toscano, dove viene presa in carico dal procuratore Pier Luigi Vigna.
Ma la vera svolta arriva a marzo dell'85, con l'arresto a Roma di Guido Cercola e del pregiudicato Pippo Calò, vicino a Cosa nostra, entrambi accusati di traffico di stupefacenti. La perquisizione nel loro covo fa emergere una valigia con dentro un apparato ricetrasmittente, antenne, cavi, armi ed esplosivi. Tutto materiale giudicato compatibile con quello utilizzato per la carneficina del 23 dicembre.
Le nebbie si diradano e la verità comincia a venire a galla: si tratta di un attentato mafioso, il primo realizzato con un telecomando a distanza. Emerge il disegno criminale di uccidere quante più persone possibili, legato alla scelta di azionare il dispositivo nel momento in cui il treno era dentro la galleria, amplificando così la forza distruttiva della detonazione. Ma la mafia non ha fatto tutto da sola.
I legami di Calò con camorra napoletana, ambienti eversivi di destra e Loggia P2 fanno pensare a una strategia condivisa per rispondere alla guerra che lo Stato ha dichiarato alla mafia in quegli anni. Protagonisti di questa battaglia sono Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli altri giudici del pool antimafia, le cui indagini portano nel 1987 alla celebrazione dello storico maxiprocesso di Palermo.
Le inchieste siciliane s'incrociano con quella sulla strage di Natale, di cui il procuratore Vigna accusa Calò e Cercola, indicando come scopo finale quello di «distogliere l'attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata, che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l'immagine del terrorismo come l'unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato».
Per entrambi arriva la condanna all'ergastolo, confermata in via definitiva nel 1992. Nel 2011, le rivelazioni del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca portano all'arresto di Totò Riina (già condannato all'ergastolo in quanto capo della cupola mafiosa e ideatore della strategia stragista, cui si ricollegano le stragi di Capaci e via D’Amelio) quale mandante dell'attentato al Rapido 904.

Frank Sinatra incide My Way «Ho amato, ho riso e pianto; ho avuto le mie soddisfazioni, la mia dose di sconfitte. E allora, mentre le lacrime si fermano, trovo tutto molto divertente. A pensare che ho fatto tutto questo; e se posso dirlo, non sotto tono. "No, oh non io, l'ho fatto alla mia maniera"».
È una delle ultime strofe, forse la più significativa, di My Way, brano che Frank Sinatra registrò un martedì di dicembre, negli studi della Reprise ad Hollywood. Nemmeno lui, The Voice (il suo soprannome più celebre), sospettava che sarebbe diventato l'inno del mito americano del self-made man, dell'uomo che si è fatto da sé e che ha vissuto tutta la vita «a modo suo», senza rimpianti.
Tutto ebbe inizio in Francia, verso la metà degli anni Sessanta, grazie a uno sconosciuto compositore di nome Jacques Revaux che creò una triste melodia accompagnata da un testo in inglese, subito bocciata dai suoi produttori. La musica conquistò invece Claude François, artista pop che in quegli anni iniziava a scalare le classifiche con riuscite cover di hit americane (come If I had a hammer, nota in Italia nella versione Datemi un martello di Rita Pavone).
François mantenne la base musicale di Revaux, cambiando totalmente il testo e optando per la lingua francese: ne uscì un malinconico ritratto della routine coniugale dal titolo Comme d'habitude (in italiano "come al solito"). L'immediato successo spinse l'artista transalpino a tentare la fortuna anche nel contesto italiano ma con scarsi risultati (la versione tradotta da Andrea Lo Vecchio finì sul lato B di un 45 giri dal titolo Se torni tu).
Nel frattempo, Comme d’habitude veniva passata ogni giorno in tutte le radio francesi e il caso volle che in quel periodo si trovasse a passare da quelle parti Paul Anka (autore della celebre Diana). Quest'ultimo ne rimase folgorato e, dopo aver raggiunto un accordo sui diritti, decise di ricavarne una nuova versione in inglese.
Ci lavorò per una notte intera e alle 5 del mattino chiamò Sinatra in Nevada, dicendogli: «Ho qualcosa di veramente speciale per te». Il suo primo pensiero era andato istintivamente all'amico e collega Frank che riteneva il più adatto a interpretarla. All'entusiasmo di Paul si contrappose l'iniziale perplessità del collega (che proprio in quel periodo meditava di ritirarsi dalle scene), di fronte a un testo che parlava di una persona giunta sul viale del tramonto.
A convincerlo che si trattava invece di un inno alla vita, e alla grandezza di un uomo che ha vissuto senza rimpianti, fu la figlia Nancy. In molti sono convinti che si debba ringraziare lei se quel martedì 30 dicembre venne incisa una delle più belle canzoni di sempre. Inclusa nell'omonimo album edito a febbraio dell'anno seguente, My Way conquistò presto le prime posizioni delle classifiche Usa.
Negli anni a seguire divenne uno dei pezzi preferiti da Sinatra che la eseguì in tutti i suoi concerti, fino al definitivo ritiro nel 1995. A omaggiarla con interpretazioni d'autore furono mostri sacri del rock come Elvis Presley e più recentemente star del calibro di Celine Dion e Michael Bublé. Ad oggi sono 132 le versioni recensite, tra le italiane quella di Mina è stata la più apprezzata anche dallo stesso Sinatra.
Il brano venne a tal punto identificato con The Voice, che nell’Unione Sovietica si parlò di dottrina sinatra a proposito della politica estera del governo Gorbačëv, indirizzata alla non ingerenza negli affari interni delle nazioni alleate del Patto di Varsavia. Fu chiamata così dal funzionario russo Gerasimov, con riferimento alla condizione di piena autonomia di quei paesi che potevano agire "a modo loro", come il protagonista di My way.

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